i) Inquadramento normativo

Il Superbonus, ex art. 119 D.L.n.34/2020 (convertito con modifiche dalla L.n.77/2020), è una detrazione pari al 110% della spesa documentata e rimasta a carico del contribuente, sostenuta dal 1° luglio 2020 fino al 31 dicembre 2021, che può essere scontata dalle imposte sui redditi o usata in compensazione nel modello F24 in cinque rate annuali.

Tuttavia, il legislatore ha previsto al comma 1 dell’art. 121 del D.L.n.34/2020 la possibilità per i soggetti che sostengono, negli anni 2020 e 2021, spese per gli interventi elencati al comma 2 dello stesso articolo, di optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:

–           per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, con facoltà di successiva cessione del credito ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari;

–           per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari.

Il credito d’imposta è pari alla detrazione spettante, calcolata tenendo conto delle spese complessivamente sostenute nel periodo d’imposta, comprensive dell’importo non corrisposto al fornitore per effetto dello sconto praticato.

Inoltre, il comma 1-bis dell’art.121 D.L. n.34/2020 nonché il provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate, prot. n.283847/2020 dell’8 agosto 2020, al punto 1.3, prevedono che l’opzione può essere esercitata in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori. Per gli interventi di cui all’art. 119 D.L. n.34/2020, gli stati di avanzamento dei lavori non possono essere più di due per ciascun intervento complessivo e ciascuno stato di avanzamento deve riferirsi ad almeno il 30% del medesimo intervento.

 

  1. ii) Il contratto di cessione di un credito d’imposta (futuro)

La cessione del credito rappresenta una delle principali fattispecie di modificazione del rapporto obbligatorio sul piano soggettivo e, segnatamente, dal lato creditorio. Tale istituto è disciplinato dagli artt. 1260 e ss. c.c; esso è un contratto bilaterale in forza del quale il creditore originario (detto “cedente”) trasferisce la titolarità del proprio diritto ad altro soggetto, il quale prende il nome di “cessionario”. Alla luce della succitata definizione, emerge con evidenza l’estraneità del debitore ceduto rispetto alla vicenda della cessione;   si precisa che,  quanto enunciato al comma 1 dall’art. 1264 c.c., ovvero che “la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata”, deve essere inteso quale mera dichiarazione di scienza, in funzione di garanzia del soggetto obbligato ad adempiere, affinché possa avere consapevolezza che, ai fini della propria liberazione, il debitore ceduto dovrà eseguire la propria prestazione a vantaggio del cessionario e non più del cedente.

Posto che il contratto di cessione ha effetti traslativi immediati (ossia, in ossequio al principio consensualistico, il diritto si trasferisce immediatamente, in virtù del consenso legittimamente manifestato dalle parti), occorre analizzare tale fattispecie contrattuale in relazione all’art. 1346 c.c., sui requisiti dell’oggetto del contratto, che prevede oltre alla possibilità e alla liceità, anche la sua determinatezza o determinabilità.

Tanto premesso, si sono sollevati dei dubbi interpretativi per quanto riguarda i crediti incerti, ossia quelli connotati da incertezza, potendo venire o meno a esistere.

Sul punto la giurisprudenza più risalente ha ritenuto che rientrino nel concetto di determinabilità tutti quei crediti che, seppur indeterminati e incerti nel loro ammontare, erano definiti e determinati nell’origine;  così facendo, tuttavia, si creava un’eccessiva delimitazione dell’ambito di operatività del contratto di cessione, restandovi esclusi tutti quei crediti eventuali, astratti o sperati.

Per tale ragione, successivamente, i giudici di legittimità per allargare il confine della cessione del credito, hanno affermato l’importanza di valorizzare la norma dell’art. 1384 c.c., laddove con riferimento alle “cose future”, dando un’interpretazione estensiva della norma de qua, potevano rientrarvi anche i crediti futuri ;  da ciò ne discende che possono rientrare nel novero dei crediti futuri non solo quelli inerenti a una fonte certa, ma anche tutte quelle situazioni di aspettativa riguardanti la venuta ad esistenza di un credito.

Alla luce di tanto, si è ritenuta configurabile la cessione di crediti futuri sia in presenza di un’eventualità astratta che concreta.

A tal proposito, di recente è intervenuto il Supremo Consesso   dirimendo qualsivoglia dubbio interpretativo, e statuendo che “non esiste una norma che vieta la disponibilità dei diritti futuri perché meramente eventuali, bastando che, nel negozio dispositivo, sia individuata o sia determinata (o determinabile) la fonte dei crediti perché automaticamente siano ricompresi nella vicenda traslativa quelli che da tale fonte deriveranno (e non solo nel caso in cui oggetto del negozio sia un singolo credito futuro, ma anche in quello in cui ne sia oggetto una pluralità di essi)”.

 

iii)        Rischi per i soggetti cessionari

In linea generale, anche ai fini del Superbonus è necessario effettuare gli adempimenti ordinariamente previsti per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di efficientamento energetico degli edifici, inclusi quelli antisismici e quelli finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti, nonché quelli di installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici.

Inoltre, come precisato dall’Agenzia delle Entrate , in aggiunta ai predetti adempimenti, è necessario acquisire:

–           ai fini dell’opzione per la cessione o per lo sconto il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto al Superbonus;

–           ai fini del Superbonus nonché dell’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito corrispondente al predetto Superbonus l’asseverazione del rispetto dei requisiti tecnici degli interventi effettuati nonché della congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati.

In tema di “controlli”, l’Agenzia delle Entrate precisa che “si applicano, nei confronti dei soggetti che esercitano l’opzione, le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni”, ossia le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

Qualora nell’ambito dei suddetti poteri di controllo l’Agenzia delle Entrate dovesse accertare la mancanza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, quest’ultima provvederà “al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti del soggetto che ha esercitato l’opzione” maggiorato degli interessi. Tale precisazione assume un chiaro significato esimente per i soggetti cessionari, i quali “rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto”, fatto salvo il caso di concorso nella violazione da parte del cessionario medesimo.

Per aversi “concorso” nella violazione valgono i criteri generali in materia sanzionatoria, per cui è richiesto l’accertamento del “contributo” di ciascun concorrente alla realizzazione della violazione, cioè la concreta capacità di favorire la violazione stessa (cfr. C.M. n. 180/E del 10 luglio 1998 alla quale  espressamente si rimanda – all.1 – secondo cui “elementi costitutivi della fattispecie concorsuale sono: 1) una pluralità di soggetti agenti; 2) la realizzazione di una fattispecie di reato; 3) il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato; 4) l’elemento soggettivo”).

Nel caso di concorso nella violazione (art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997), quindi, il fornitore che ha applicato lo sconto e il cessionario del credito rispondono solidalmente (con il beneficiario della detrazione) sia della sanzione (ai sensi del citato art. 9, comma 1), che della detrazione illegittimamente operata e dei relativi interessi (art. 121, comma 6, del D.L. n. 34/2020).

Quanto appena precisato permette anche di rispondere all’ulteriore quesito riguardo ai profili di rischio per il cessionario rispetto ad un’ipotetica “revocatoria” fallimentare.

Ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria di cui art.2901 c.c. e 66 L.F. occorre che l’atto posto in essere sia consapevolmente pregiudizievole; deve darsi prova quindi del presupposto oggettivo dell’eventus damni, (la lesione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore, che viene meno a seguito dall’atto impugnato, nel momento del suo compimento, i cui effetti perdurano nel momento dell’esercizio dell’azione) e anche del presupposto soggettivo, quanto meno in capo al debitore, della scientia damni, ossia la conoscenza della lesione della garanzia patrimoniale arrecata dall’atto impugnato nel momento del suo compimento.

Al proposito ha affermato la Suprema Corte seguendo un orientamento che può dirsi costante: “L’azione revocatoria ha una finalità cautelare e conservativa del diritto di credito, essendo diretta a conservare nella sua integrità la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ed a ricostituirla in presenza di un atto di disposizione che la pregiudichi, accertandone la sua inefficacia nei confronti del debitore stesso. Pertanto, condizione essenziale della tutela revocatoria in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità, peraltro, non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta la esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità”.

Sotto il profilo degli effetti, l’azione revocatoria non ha una funzione restitutoria, rendendo unicamente inefficace l’atto impugnato nei soli confronti del creditore che ha agito. Quest’ultimo, infatti, nel caso di accoglimento della domanda, potrà promuovere, verso i terzi acquirenti, le stesse azioni, conservative o esecutive, che avrebbe potuto esperire verso il debitore se l’atto revocato non fosse stato posto in essere (art.2902 c.c.).

Il legislatore ha peraltro disciplinato la posizione del c.d. ulteriore terzo (ossia l’avente causa dall’acquirente) stabilendo che “l’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede”, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione (art.2901, ultimo comma c.c.).

È da tenere presente come il carattere del negozio e l’elemento soggettivo discriminatore siano propriamente quelli inerenti all’acquisto mediato, al quale la legge direttamente si riferisce. Nel senso che ivi ricorrendo le condizioni dell’irrevocabilità (negozio oneroso e buona fede) diventa irrilevante per il terzo mediato la posizione del primo acquisto, se pure in sé stesso revocabile, salve le conseguenze risarcitorie a carico del primo acquirente. Posizione del primo acquisto della quale, peraltro, potrà sempre profittare derivativamente il terzo mediato in quanto favorevole, diventando in tal caso irrilevante a tutti gli effetti la propria posizione contrattuale di buona o mala fede.

Posto, pertanto, che sia irrevocabile il primo acquisto per la sua onerosità e la buona fede dell’acquirente, diverrà comunque irrevocabile anche la posizione degli ulteriori, a prescindere dal carattere dei successivi trapassi, onerosi o lucrativi, e dall’atteggiamento soggettivo dei rispettivi acquirenti.

In sintesi, e con riferimento al caso che ci occupa, il cessionario del credito di imposta ai sensi dell’art.121 del D.L. 34/2020 e s.m.i., essendo terzo in buona fede di un negozio oneroso, non può essere attinto dall’azione revocatoria, prevedendosi in tal senso l’inversione dell’onere della prova a carico del primo creditore che dovrebbe quindi dimostrare, anche ai sensi di quanto precisato sul tema in occasione del commento della specifica previsione normativa, il concorso del cessionario nell’eventuale negozio giuridico viziato.

 

Avv. Stefano Ilari

Stefano Ilari