Nei recenti orientamenti di vigilanza circa le operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, emanati da Banca d’Italia con delibera n°145/2018, al punto I (VALUTAZIONE DEL MERITO DI CREDITO E RISCHIO DI SOVRAINDEBITAMENTO), n.3, il predetto Organo di Vigilanza assume espressamente che “Nel valutare il merito creditizio del cliente, gli intermediari tengono conto anche del rischio di uno stato di indebitamento eccessivo, pure in occasione di operazioni di estinzione anticipata e rinnovi, soprattutto quando queste avvengono in prossimità del termine minimo di legge”.
In ordine alla predetta problematica, puntualmente rilevata da Banca d’Italia, occorre rilevare quanto di seguito.

Aspetti generali:
La disciplina del sovraindebitamento, prevista dalla legge 27.01.2012, n. 3, rappresenta una novità assoluta per l’ordinamento italiano poiché recupera il vuoto legislativo generato dalla riforma delle procedure concorsuali del 2005. La Riforma del 2005, infatti, ha eliminato uno degli aspetti sanzionatori previsti dalla legge fallimentare del 1942 e aggiungendo, a favore del fallito persona fisica, la possibilità dell’esdebitazione (art. 142 e ss. l. fall.). Tale procedura si sostanzia nel diritto alla cancellazione di tutti i debiti non soddisfatti dalla liquidazione dell’attivo della procedura concorsuale dopo la conclusione di quella aperta con la sentenza dichiarativa di fallimento. Alla persona fisica, in sostanza, è stata riconosciuta la possibilità concreta di ripartire con una nuova attività commerciale. Ciò nella consapevolezza che è difficile che il debitore fallito, chiuso il fallimento e soddisfatti i Creditori attraverso la liquidazione fallimentare, possa altrimenti liberarsi dei debiti residui. Tale eventualità, ininfluente per i soci limitatamente responsabili, assume valenza verso i soci illimitatamente responsabili.
La legge 3/2012, introducendo la disciplina della crisi da sovraindebitamento, ha posto altresì attenzione all’insolvente civile, in particolare, e a tutti i soggetti esclusi dalla legge fallimentare, in generale.
Ciò emerge dai disposto dell’art. 6, che enfatizza le finalità della nuova disciplina specificando che la stessa pone rimedio alle situazioni di sovraindebitamento che non sono né soggette, né assoggettabili alle procedure concorsuali dell’ordinamento italiano. L’art. 7, c. 2, invece, aggiunge che la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, che il debitore può presentare ai Creditori, presuppone, a pena d’inammissibilità, la non assoggettabilità a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge fallimentare.

Il Procedimento
Il legislatore ha previsto che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai Creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano (art. 7) che preveda la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri (c. 1 art. 8).
La proposta di accordo, dunque, può avere qualunque contenuto e carattere dilatorio o esdebitatorio o può cumulare entrambe queste soluzioni purchè sia sempre assicurato il regolare pagamento dei crediti impignorabili, ossia occorre che i debiti siano pagati alla scadenza prevista nel contratto ed in misura integrale.
L’accordo, inoltre, è obbligatorio per tutti i Creditori (art. 12, c. 3) con la conseguenza che non si prevede più l’integrale pagamento dei Creditori estranei che non abbiamo aderito o partecipato all’accordo. I crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, invece, possono non essere soddisfatti integralmente solo nell’ipotesi in cui sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione e avuto riguardo al valore di mercato dei beni oggetto della prelazione. Il valore dovrà essere attestato dall’organismo di composizione della crisi – OCC (art. 7, c. 1).
Per quanto attiene il contenuto, il piano deve, innanzitutto, assicurare l’integrale pagamento dei titolari di crediti impignorabili e dei crediti tributari, per i quali è ammessa, come detto, soltanto la dilazione. I
Creditori privilegiati hanno diritto al pagamento integrale, ma non hanno il diritto di voto, salvo che rinuncino alla prelazione (art. 11. c. 2).
Il piano deve prevedere i termini e le modalità di pagamento dei Creditori, che possono essere suddivisi in classi, le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti, le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni (art. 7, c. 1). Non è espressamente previsto, come nell’accordo di ristrutturazione disciplinato dall’art. 182–bis, che i Creditori debbano essere soddisfatti secondo la regola del concorso. La circostanza, tuttavia, che l’art. 7, c. 2, lett. a) indichi le procedure disciplinate dalla legge come “concorsuali” fa ritenere che la regola della par condicio dei Creditori debba essere applicata, visto che in mancanza non avrebbe ragione d’essere la previsione di classi e, conseguentemente, verrebbe reso inefficace il principio della parità tra Creditori. Il piano, pertanto, può stabilire condizioni differenziate soltanto tra le classi, fermo restando il principio che i titolari di crediti impignorabili, i crediti tributari ed i Creditori privilegiati capienti debbono essere soddisfatti integralmente. Quanto alle classi, il legislatore ha previsto la possibilità, ma non ha previsto che esse raggruppino crediti con natura giuridica ed interessi economici omogenei (art. 160, c. 1, lett. c) l. fall.), anche se ovviamente al loro interno dovrà essere stabilito un trattamento economico uguale, sì da favorire il consenso dei Creditori.
I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo e del piano sono inefficaci rispetto ai Creditori anteriori alla proposta del debitore. Ne deriva che per effetto della presentazione della proposta o, comunque, a seguito dell’omologazione dell’accordo, il debitore perde la disponibilità del proprio patrimonio, almeno della parte di esso considerata nel piano.
Diversamente da quanto prevedeva in un precedente momento la l. n. 3/2012, la sanzione dell’atto di disposizione non è la nullità, ma l’inefficacia, come per il fallimento.
La proposta deve contenere, oltre al piano, la sottoscrizione del debitore e dei terzi che consentano il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo, nei casi in cui i redditi del debitore non garantiscano da soli la fattibilità del piano. La proposta deve anche indicare le eventuali limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo di cui soffra il debitore, ovvero all’utilizzo di strumenti di pagamento elettronico a credito ed alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.
La proposta ed il piano sono redatti con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi con sede nel circondario del Tribunale competente (OCC) e non è ammissibile nei casi in cui:
a) il debitore è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle della disciplina del sovraindebitamento;
b) ha fatto ricorso ai procedimenti di sovraindebitamento nei cinque anni anteriori;
c) ha subito per causa a lui imputabile la risoluzione o l’annullamento dell’accordo o la revoca o la cessazione degli effetti del piano del consumatore;
d) ha fornito documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale (art. 7, c. 2).
Contenuto dell’accordo o del piano del consumatore
Quando il debitore, in possesso dei requisiti per proporre l’accordo di composizione della crisi, riveste anche la qualità di consumatore ha la facoltà di scegliere se proporre al giudice un piano di risanamento dei suoi debiti, anziché ricorrere all’accordo con i propri Creditori.
Per “consumatore” si intende il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (cfr. def. Art.6, co. 2 lett.b).
Tanto sotto il profilo contenutistico, quanto sotto il profilo degli effetti, il piano del consumatore è soggetto ad una disciplina analoga a quella dell’accordo del debitore. Il nuovo c. 1 – bis dell’art. 7 dispone, infatti, che, fermo il diritto di proporre ai Creditori un accordo, il consumatore in stato di sovraindebitamento può proporre, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi, un piano contenente le previsioni di cui all’art. 7 c. 1), il quale comma disciplina il contenuto del piano oggetto dell’accordo del debitore. Ne deriva che il piano del consumatore ha ad oggetto gli stessi elementi prescritti per l’accordo del debitore, in quanto viene operato un rinvio alle previsioni relative all’accordo di ristrutturazione dei debiti.
A differenza dell’accordo del debitore, però, il piano del consumatore non sembra avere carattere negoziale, in quanto per la sua omologazione non occorre il consenso dei Creditori. Poiché il piano del consumatore non forma oggetto di un accordo con i propri Creditori, il c. 3 – bis dell’art. 9 impone, a garanzia dell’interesse di questi ultimi, che alla proposta venga allegata una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi contenente:
– l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
– l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;
– l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai Creditori;
– il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.
Relativamente al procedimento di omologazione del piano del consumatore, che non prevede il consenso dei Creditori , l’art. 12 – bis, c. 3 e c. 4 dispone che, verificata la fattibilità del piano e l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’art. 7, c. 1, terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate), e risolta ogni altra contestazione anche in ordine all’effettivo ammontare dei crediti, il giudice, quando esclude che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali, omologa il piano, disponendo per il relativo provvedimento una forma idonea di pubblicità.
L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all’articolo 10, comma 2. I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

Conclusioni
La legge sul sovraindebitamento, dunque, riconosce al debitore la facoltà di redigere un accordo con i Creditori. Il debitore, inoltre, deve essere esclusivamente una persona fisica, ossia un consumatore, una microimpresa o non essere assoggettabile a procedure concorsuali, e si deve trovare in una situazione di perdurante squilibrio tra obbligazioni assunte e patrimonio prontamente liquidabile, nonchè in una definitiva incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.
La proposta viene redatta con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi e si sostanzia in un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano di ammortamento dei debiti che assicuri il pagamento dei debiti contratti senza pregiudicare i diritti di chi all’accordo non ha aderito.
L’espletamento delle attività, di competenza del giudice e del debitore, nonché l’omologazione, il ruolo delle parti e i termini sono sottoposte ad un’articolata e completa procedura nei vari articoli della legge al fine di garantire una corretta instaurazione del contraddittorio.
L’elemento della legge in grado di incidere sensibilmente sulla posizione del debitore in difficoltà, risiede nella possibilità di sospensione di ogni azione individuale esecutiva da iniziarsi o già in corso.
Peraltro, il riferimento alla pianificazione solleva delle perplessità in quanto parte della giurisprudenza ritiene che il piano ripete una natura non giuridica, ma aziendale: la pianificazione null’altro è che la formalizzazione di una determinata strategia d’impresa.
Nel caso della legge sul sovraindebitamento il debitore civile, infatti, non ha che un patrimonio incapiente e una massa di debiti. Non svolge alcuna azione sul mercato. Non deve procedere a nessuna ristrutturazione di attività produttive. Deve, piuttosto, controllare e limitare la dannosa propensione al consumo, e aborrire il consumo irresponsabile .
Non vi sarebbe, dunque, nessuno spazio apprezzabile per la pianificazione del recupero della solvibilità.
In conclusione, mentre la pianificazione può essere utile e comprensibile per il trattamento della crisi della piccola impresa non fallibile, in nessun modo, invece, sembra essere proficuamente utilizzabile (e nemmeno effettivamente comprensibile) per il trattamento dell’insolvenza civile e non perché l’insolvenza civile non sia componibile consensualmente, ma perché nella composizione negoziale dell’insolvenza civile non si apprezza nessuna rilevanza dell’aspetto finanziario prospettico inteso questo come la capacità futura di generare risorse finanziarie.
Proprio la connessione tra l’aspetto finanziario attuale e quello atteso, ossia prospettico, giustifica sopra tutti, la pianificazione.
Tale perplessità, riversata come detto anche in alcuni pronunciamenti giurisprudenziali, ha reso statisticamente residuale il ricorso all’accordo di ristrutturazione del debito di cui all’art.7 e ss. della citata legge 3/2012.
Alla luce di quanto sopra esposto, e con specifico riferimento al “rischio” insito nell’accordare credito ad un privato consumatore che possa, quindi, successivamente beneficiare della possibilità allo stesso accordata dalla L. 3/2012, a giudizio di chi scrive occorrerebbe preliminarmente accertare che il soggetto mutuato non si trovi nelle condizioni di “sovraindebitamento”, intese come situazione di “perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” (cfr. def. Art.6, co. 2 lett.a).
Verificata l’assenza di tale condizione, l’eventuale verificarsi della stessa in un successivo momento potrebbe comunque determinare l’accesso, da parte del soggetto mutuato, alla possibilità di ristrutturazione dei debiti prevista dall’art.7 Legge citata, con la conseguenza, in caso di “consumatore”, che l’eventuale omologazione del relativo piano da parte del giudice comporterà per l’istituto mutuatario:
– il permanere del proprio originario diritto di credito, non essendovi alcuna novazione contrattuale;
– l’assenza del rischio insolvenza, poichè l’unica conseguenza in tale caso sarebbe quella di uno slittamento dei termini di pagamento stante la previsione del comma 2 dell’art.8 sulle garanzie dei terzi in ordine alla sostenibilità del piano;
– l’impossibilità di dare corso, per tutta la durata del piano ed eventualmente sino a revoca, a procedimenti esecutivi sui beni del debitore.
Si sottolinea, altresì, che poiché l’eventuale omologazione del piano di ristrutturazione del consumatore non comporta novazione, ma solo slittamento dei termini di pagamento, anche le eventuali garanzie accessorie pattuite originariamente a tutela del credito (es. polizze assicurative), essendo accessorie al diritto di credito originario, non cessano la loro efficacia.

Per maggiori informazioni rivolgersi all’Avvocato Stefano Ilari